Il concetto di fotografia è radicalmente cambiato dalle sue origini: se nel corso del XX° secolo è stata un’arte quasi “astratta” e ambita solo da pochi ed eccellenti cultori del genere, oggi come oggi chiunque abbia un obbiettivo su un qualunque supporto digitale in grado di catturare una porzione di luce si ritiene un vero e proprio artista.
Sono in pochi ad andare oltre e immortalare non un’immagine, ma bensì quello che sta dietro e dentro una scena. Giorgia Benazzo è una di quelli che persegue questa crociata.
Dal 2009 ha lavorato come Fotografa e Video Maker freelance con diversi nomi eccellenti, quali Pirelli ed Emergency, per poi approdare nel mondo editoriale. Oggi continua una ricerca che investiga la connessione tra l’ambito visivo e quello psichico.
Come hai iniziato a metterti dietro la macchina fotografica?
É cominciato tutto durante una vacanza. Avevo circa dieci anni e mio nonno teneva in mano una Olympus a pellicola. La presi e mentre fotografavo il paesaggio mi disse che quelle sarebbero state foto che non avrei più riguardato dopo dieci anni, e quel pensiero mi sconvolse. Allora fotografai mia sorella, e tutt’oggi la osservo.
Oltre a lavori individuali ti sei occupata di diverse collaborazioni. Quella che pensi sia stata la più stimolante?
Ho partecipato lo scorso autunno a un workshop molto intimo in collaborazione con Prospekt, che riguardava Carnem e la mostra Body Worlds. Eravamo dieci fotografi da ogni parte del mondo, abbiamo vissuto insieme quattro giorni alla Fabbrica del Vapore senza conoscerci. Ho messo in discussione tutta me stessa e di conseguenza tutto il mio lavoro. Davvero molto difficile, davvero molto bello.
Il medium della fotografia come si differenzia dagli altri strumenti comunicativi?
Ricordo che durante gli studi universitari un professore mi disse che alle persone non piacciono i film dopo aver letto il libro perché non comprendono che, a parte l’omonimia del titolo, non sono associabili ne è saggio metterli a paragone e io concordo col suo punto di vista. Vedo il medium fotografico come uno specchio dove il mio riflesso non si muove, ma non trovo il senso di differenziarlo da altri media perché per farlo dovrei metterli a paragone.
Oltre ai soggetti umani presenti nella quasi totalità dei tuoi scatti, ci sono luoghi od oggetti inanimati che stimolano la tua creatività?
Certamente l’estetica di alcuni luoghi e alcuni elementi stimola il mio lavoro in senso profondo, ma questo perché li percepisco come in relazione all’essere umano. Di recente per esempio ho lavorato col Designer Gianluca Menini e la Media Designer Federica Intelisano ad un progetto video che mostra un tessuto che si genera ed espande a partire da una coltura batterica, un materiale che riutilizzerò sicuramente in futuro.
Ritieni che Milano sia ancora un luogo stimolante per un artista o è diventato un trampolino di lancio verso altre mete?
Sono nata e cresciuta a Milano. La cosa più stimolante che puoi trovare qui è te stesso se cerchi bene, ma in generale non la trovo né una città stimolante né un trampolino di lancio se non per pochi, predestinati, eletti. Credo che come città sia simile ad un bicchiere di vetro dove devi essere acqua cercando di non evaporare.
Andrea Tata
Sabato 16 marzo 2013 @ WOMADE #6
CHIOSTRI di SAN BARNABA – Via San Barnaba 48, MILANO (P.ta Romana)