Musica, colore e fisicità: FRANCESCA FINI

L’arte molto spesso riesce a trasportarci nell’inesplorato attraverso qualcosa di sconosciuto. Spesso, ma non sempre.

Francesca Fini ci accompagna in una sdrammatizzazione inquietante della realtà, utilizzando mezzi che chiunque può riconoscere o facilmente sentire vicini: tecnologie lo-fi, dispositivi di interaction design e oggetti di uso quotidiano.

Artista rappresentativa dei nuovi linguaggi scenici in Italia, a WOMADE ci ha anticipato di voler giocare con i nostri sensi…

 

 

Il tuo lavorare e collaborare con il mondo della tv come ha influito con il tuo essere artista?

Il lavoro in TV mi ha aiutata moltissimo perché è stato come una specie di scuola al contrario: non ho dovuto faticare anni e anni per scoprire quello che non devo fare quando faccio arte.

 

 

Corpo e tecnologia: cosa lega questi due soggetti? Cosa di uno migliora l’altro?

La tecnologia rappresenta da sempre il tentativo dell’uomo di estendere le funzionalità del proprio corpo e di superarne i limiti, quindi la tecnologia è profondamente legata alla nostra realtà corporea. Possiamo dire che la tecnologia è il prodotto del superamento del corpo attuato dalla mente, della vittoria sulla finitezza attraverso l’infinitudine dell’immaginazione umana. In tal senso possiamo chiamarla un miglioramento, quando la tecnologia mantiene la sua natura di estensione del corpo e non diventa un valore fine a se stesso, e questo è vero tanto nella vita quanto nell’arte.

 

 

In un mondo dove la tecnologia prende sempre più piede e avanza in maniera incrementale, come mai per le tue performances scegli dispositivi più “lo-fi”?

Utilizzo tecnologie lo-fi – potremmo chiamarle “valvolari” in gergo musicale – per mantenere quel margine di sporcizia e di errore che, a mio modesto parere, sono il sangue dell’arte. L’immacolata infallibilità dell’immagine lasciamola agli spot pubblicitari, che ti stordiscono di sollecitazioni impeccabilmente confezionate perché il loro scopo è immettere informazioni. La loro parola d’ordine è persuasione. L’arte non deve persuadere nessuno. L’arte non immette, l’arte crea uno scambio reciproco di fluidi vitali. Il lo-fi in tal senso mantiene quella “grana poetica”, quel disturbo ideale, sintattico, visivo, sonoro, quel piccolo grande margine di ambiguità che permette alla gente di non farsi soggiogare dall’opera, di mettere un piede nella porta, di sentire il desiderio di interpretare e quindi partecipare.

 

 

Parlando del tuo nuovo progetto performativo, cosa ci puoi anticipare?

Sono in procinto di partire per il Canada, a fine ottobre, invitata da FADO Performance Art Center e dall’Istituto Italiano di Cultura. A Toronto porto un lavoro inedito che si chiama “I Was There”, una tragicomica azione in tre atti dove la femminilità diventa una specie di videogame, con una serie di invenzioni video sofisticate e l’uso di svariati oggetti di scena.
Invece per WOMADE #8 presenterò Blind, un lavoro che amo moltissimo: in questa performance creo suoni e musica utilizzando come strumenti delle vernici colorate e il movimento del mio corpo davanti alla webcam. Se venite a vedermi vi spiego come funziona.

 

 

Salutiamoci con un’immagine evocativa: scegli un colore e un senso e descrivici uno scenario.

giallo:
un rumore sottile che spacca il cielo
unghie sulla lavagna
lingua arrotolata a forma di fiamma
soffia il sole nelle orecchie del mondo
distese di violini
ferite purulente
discariche di plastica e giocattoli rotti
uno sfarfallio negli occhi
e la mano alzata a proteggerci da un ricordo che ci fa sentire soli
un salto nel vuoto profumato di limone

 
 
FRANCESCA FINI live peformance at WOMADE #08
Sabato 18 ottobre 2014 – Chiostri di San Barnaba (Milano)

 
 
Andrea Tata